A questo punto conviene soffermarci un po’ sull’importante questione del nome gentilizio e del luogo di origine del gran capitano, non tanto per ridare alimento alla noiosa storiografia municipalistica (non mancano, intanto, storici calabresi che sulla traccia dell’Amari hanno insistito sulla patria cosentina di Ruggiero) quanto per indicare al lettore lo stato delle indagini in proposito e per suggerire qualche soluzione non propriamente provvisoria.
Quanto al cognome dell’Ammiraglio, occorre dire che Ruggiero, sia durante la sua vita sia successivamente, venne indicato con nomi diversi, come sottolinea a tal proposito V.P. Rossi, che, desumendoli da documenti ufficiali di varia natura, elenca almeno quattro varianti del cognome dell’Ammiraglio, (cui si potrebbe aggiungere il Dell’Oria usato da Boccaccio nella novella 6a della V giornata): “Alcuni al nome di Ruggiero o Roger fecero seguire il cognome Di o De Loria, altri il cognome Loria, altri ancora gli consegnarono il cognome primitivo di Lauria, e finalmente lo stesso ammiraglio, in un documento conosciuto come “testamento” redatto nel convento di Santa Creus, firmò col cognome di Luria. Ciò ha dato luogo a molte discussioni da parte di 94 storici e cronisti”.
Come risolvere la questione? Quale era il vero cognome di Ruggiero: Dell’Oria, Loria, di Loria, o di Lauria? Il Rossi, appellandosi all’autorità, a dire il vero non so se linguisticamente attendibile, del Quintana (“È grande la varietà con la quale si scrive questo nome, in conseguenza del differente valore che si dà al primo dittongo: degli italiani alcuni lo dicono Loria, altri dell’Oria; i Catalani Luria e così è scritto nel testamento; i francesi e castigliani Lauria”) conclude che i cinque cognomi in questione “sono derivazione, o, per meglio dire, deformazioni del vero cognome di Lauria”.
Quanto alla questione della patria di Ruggiero, è opportuno muoversi con cautela per non urtare la suscettibilità degli storici municipalisti, i quali, pur provvisti talvolta di ottime qualità nella ricerca storiografica, spesso precludono a sé la possibilità di interpretare giustamente i fatti con obiettiva attendibilità proprio a causa della tesi di parte. È ciò che è accaduto anche a due studiosi calabresi, il Prof. Visalli e l’Avv. Morisani (guardatevi sempre dagli avvocati quando si occupano di storia) che, pur di sottolineare l’origine cosentina dell’Ammiraglio “colui che fu lo spavento del Mediterraneo”, citano a sostegno una lettera latina di Ruggiero al re Giacomo II (datata 10 luglio 1207) dalla quale si desumerebbe, e per sua ammissione, l’origine calabrese dell’ammiraglio.
Peccato che di tal lettera non vi sia traccia, come ha dimostrato a metà dell’800 il Carini, storico siciliano incaricato dallo Stato di reperire negli archivi spagnoli il maggior numero di documenti, che sono stati da lui ritrascritti, in particolare una gran quantità di diplomi, e poi pubblicati in due volumi, tranne la famosa e fantomatica lettera (ciò dimostra come il caso intorbidi il disegno degli storici).
A questo punto sarebbe meglio prestar fede a storici “super partes”, come lo spagnolo Zurita che, descrivendo la spedizione in Italia degli Aragonesi e in particolare il primo impatto di Ruggiero con la sua terra d’origine, sostiene che egli trovò molti castelli dalla sua parte, soprattutto quelli dei suoi avi: “Si dichiararono per il re d’Aragona Montaldo, Renda, Bracha ed altri paesi della valle del Crati, Laino, Rotonda; Castelluccio e Lauria che era stata dei predecessori dell’ammiraglio”. Altri, come il Palmieri, traendo spunto dall’affermazione dello stesso storico spagnolo (“Ciò esposto, chiaramente apparisce che l’autore (Zurita) di altro paese non fa menzione che di Lauria della Basilicata”) è arrivato a concludere che la patria dell’ammiraglio fosse Lauria, luogo dove ancora esiste, il più importante dei ventiquattro castelli del suo casato.
Il Morisani di fronte all’evidenza dei fatti, ha proposto tale soluzione di compromesso: ”Se pure per momentanea concessione […] volessimo ritenere vero che Lauria fosse suo cognome e sua patria, ciò non infirma per nulla la nostra tesi, giacchè Lauria, nel 1200, e per secoli posteriori, appartenne a Val di Crati, cioè provincia di Cosenza, la quale giungeva fino a Metaponto”.
Tale ultima affermazione, in parte anche vera, ci potrebbe trovare d’accordo perché è lì a dimostrare che la storia vera non sempre coincide col campanile, non fosse altro perché nei grandi disegni della politica spesso si fa e disfa la geografia. Dicono gli storici che Ruggiero crebbe, robusto nella persona, nella corte armigera d’Aragona e ricevette le insegne di cavaliere dalle mani dell’Infante, quello stesso che, divenuto re col nome di Pietro III, lo nominò in seguito “ammiraglio di Aragona e di Sicilia” pronunciando tali parole, come si legge nella Cronaca del Muntaner: “Ruggiero, tua madre donna Bella ha servito molto bene la Regina, mia augusta compagna, come nutrice e donna di compagnia. Tu sei vissuto alla mia corte ed hai ricevuto una educazione da principe. Guidato dalla grazia divina ti affido l’insegna dell’ammiragliato, sicuro che illustrerai la mia bandiera”. Si dice che Ruggiero, dopo aver accolto le parole del suo re, inginocchiandosi dinnanzi e baciandogli le mani in segno di devozione, giurò che fino a quando l’esercito e la flotta fossero stati affidati sotto il suo comando, non avrebbero mai provato il dolore della sconfitta.
In questo fu buon profeta. Infatti, come sostiene il Vecchi, se gli toccò raramente di non riuscire a piegare in campo aperto gli avversari, soprattutto sul mare “rifulsero doti che di gran lunga sorpassano quelle dei contemporanei e i marinai di altra età. Per alacrità somma, per la perduranza nel proposito, per la fortuna – è qualità anch’essa, checchè se ne voglia dire il contrario – egli è sovrano tra la pleiade degli almiranti medioevali. Per la vastità delle imprese, per l’importanza numerica delle sue armate non è secondo che ad Andrea Doria, il principe dei marinai mediterranei. Ma le angosce della sconfitta non risparmiate dalla provvidenza a Doria […] egli non le conobbe mai “.
In effetti le sue imprese, in particolare le spedizioni del 1284-1285 contro gli Angioini, furono, – come dice Dante di Cesare, anche egli imbattibile condottiero per mare e per terra – “di tal volo, che nol seguiteria lingua né penna”.
In ogni caso faremo in modo di narrare le sue più significative gesta, a cominciare dal primo scontro, autentico battesimo di fuoco, accaduto nelle acque di Malta.