Il diario di bordo di “Bulbo matto”…

Cari amici, continua la nostra avventura…
Vorrei ringraziare il presidente e la segreteria e il tecnico che ha dedicato quest spazio nuovo a Bulbo Matto sul sito del club. È molto invitante e divertente e servirà certo a far sentire più “sociale” la mia navigazione, e me stesso più seguito e supportato: ne ho bisogno!
Salve a tutti, Fulvio Croce

Cronache dalla “Baja”
Comunicazione del 11 maggio 2016
Cerco di trovare il modo giusto di raccontare i nostri giorni qui nel mare interno della Baja California, e non è facile senza scadere nella solita retorica. Il fatto vero è che il Mare di Cortes è uno di quegli ambienti speciali dove i velisti appassionati di natura possono trovare tutto ciò che è possibile desiderare in una varietà, qualità e diversità straordinarie. Sono quasi 500 le miglia da Cabo S. Lucas a sud, costa ovest del golfo di California o Mare di Cortez, fino a Bahia de Los Angeles a nord passando per La Paz e le antiche missiones gesuite di Loreto e di Santa Rosalia de Mulege. Decine di isole piccole e grandi e ancoraggi silenziosi si susseguono a breve distanza tra rupi aspre e spiagge solitarie. Lagune salmastre e saline sfavillanti di trampolieri in volo contrastano con montagne deserte di cespugli aridi e cactus monumentali; villaggi di pescatori con poche famiglie di gente semplice e gentile e tante capre e galline sorgono qua e là in baie sparse, mentre balene immense spuntano all’improvviso poco al largo, soffiano o saltano e scompaiono, leoni marini sfrecciano sotto mentre che nuoti, uccelli marini in quantità e diversità pescano tutto attorno poco curandosi della nostra presenza. Isole e ridossi e luce fortissima e poi ancora mangrovie, pesci a nuvole, razze a decine che saltano in gruppo, flotte di delfini e il plancton scintillante che si confonde la notte col riflesso delle stelle. C’è da ubriacarsi, letteralmente, di visioni, sensazioni, brezze, luce e silenzi.
Anche la presenza di altri navigatori, in maggioranza canadesi e statunitensi, ma anche provenienti da ogni altro mare, tutti invariabilmente gentili e disponibili, giustamente come noi attirati dalla fenomenale biodiversità e dal particolare ambiente, costituisce grande motivo di interesse, e occasione di scambio di informazioni, consigli, esperienze.
I mesi di marzo e aprile poi sono i migliori, serate fresche, aria secca ma mai torrida e acqua piacevolmente frizzante. Il ricordo di tutto questo sarà incancellabile!Con questa cronaca ho praticamente esaurito la mia ispirazione letteraria.. Ormai penso solo al ritorno, alle cose da fare qui prima di partire e a quelle che dovrò fare a Palermo. Aggiorno le due liste in continuazione. La barca (udite udite) l’ho messa su un sito online USA e poi la lascerò in vendita da un broker di qui, ma facendone la descrizione riscopro che ė una barca stupenda, completa di un mucchio di attrezzature e di accorgimenti e ottimizzata negli anni fino a diventare praticamente perfetta! La manutenzione che ci vuole è quella che ogni barca richiede, e che farò comunque. Poi so che dopo un pò che torno mi rinasce la voglia forte di tornare e di navigarci. Quindi non so se riuscirò a venderla, neanche per un prezzo adeguato.. Se poi la vendo devo vedere se prenderò un catamarano ai Caraibi, che ce ne sono un mucchio in vendita, oppure una barca direttamente in Italia, sempre che ne trovo una all’altezza di Bulbo Matto. Poi mi piacerebbe averla più vicina, anche per avere qualche figlio o nipote o amico più facilmente a bordo, ma l’oceano….. Vabbè, si vedrà.
Intanto per adesso siamo ancora in giro tra le tante baie e con un clima stupendo, come meglio riportato sopra, e ce la godiamo in pieno!
Domenica prossima parte Markku, il finlandese, poi il 6, da La Paz, Daniel l’israeliano e Galen l’americano (il migliore di gran lunga, ottima persona e ottimo marinaio), e a me rimane qualche giorno per sistemare tutto prima del lungo volo.

Vi penso tutti, vi abbraccio forte e non vedo l’ora di vedervi e di stare un pò con voi!!!

A presto, Fulvio


Isola Isabela, bird santuary
Comunicazione del 27 marzo 2016
P1000030 L’odore aspro del guano ci ha investito una buona mezz’ora prima di arrivare, proprio con l’ultima luce dopo il tramonto, nell’unica baia di questo scoglio a 30 miglia dalla costa pacifica del Messico centrale. Ed è un ancoraggio piuttosto adrenalinico, con l’onda oceanico che ci solleva almeno un paio di metri prima di frangersi con un boato terrificante sulla scogliera lì vicino, accanto a noi, non riusciamo a valutare bene quanto vicino. Fortuna che non c’è vento, cosicché non c’è pericolo che l’ancora si metta ad arare e ci costringa a scappare nella notte senza luna.
Dormiamo comunque con un occhio solo, la barca sballottata dalle onde, l’allarme programmato sul GPS, gli strumenti accesi pronti a qualunque evenienza, ogni due ore fuori a controllare che tutto sia a posto..
L’indomani già all’alba siamo tutti svegli, ammiriamo in silenzio la grandezza dei marosi nella luce che avanza, la scogliera rossa a picco, le migliaia di uccelli già a pesca, le fregate che rubano le prede alle sule, i pesci che balzano intorno.
P1000054Un pescatore di passaggio ci offre di sbarcarci evitandoci l’incomodo ed l’incognita di usare il nostro tender, e subito ci mettiamo in cammino nel bosco arido per la nostra piccola esplorazione. Subito tra le fronde decine di nidi di fregate con i pulcini bianchi spelacchiati grossi come polli che ci guardano curiosi. Poi le sule con i nidi a terra, una femmina ha sotto due uova, scappa facendo la parte dell’uccello ferito, poi una coppia lì vicino intenta in un rito nuziale, col maschio che offre ramoscelli alla femmina, ed entrambi che oscillano la testa su e giù, strofinandosi l’un l’altra, a la scogliera che si apre sulla baia dove Bulbo Matto è ancorato, uno spettacolo di voli, versi, richiami, tuffi..
La natura nella sua massima espressione…
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Messico seconda parte!
Comunicazione del 13 marzo 2016
Siamo arrivati ieri al famoso Cabo San Lucas, estrema propaggine sud della Baja California, nostra meta di questa stagione di Bulbo Matto, con un misto di sensazioni ed emozioni.
Contenti intanto di essere arrivati, dopo una traversata piuttosto dura da Mazatlan, per vento stretto, onde ripide e freddo, ultima tappa delle
1400 miglia navigate quest’anno dal più profondo sud del Messico. Contenti anche di ritrovare caldo e sole, barca ferma e sonno tranquillo: solo il giorno prima, nel porto di Mazatlan, 40 nodi e pioggia fredda e pungente, nella peggiore, pare, perturbazione di questo inverno. Delusi perché Los Cabos è la quintessenza del peggior turismo americano, pieno di teenagers in spring break, turbe ormonali e alcol inclusi, e decine se non centinaia di barche per la pesca d’altura per ricconi emuli di Hemingway. E poi ovviamente resorts uno dietro l’altro, tutti esclusivi e vista mare, escursioni a caro prezzo, tipo barche fondo di vetro, crociere a vela al tramonto, aquascooters e via inquinando. Per fortuna però, e in ciò resta la fama del luogo, il mare è bello e pulito, l’aria limpida e fresca, il sole fortissimo e le baie che andremo a scoprire e godere innumerevoli e sicuramente stupende.
Questa costa pacifica del Messico così è: resorts ben noti, come Acapulco e Puerto Vallarta dedicati ad un turismo ormai di massa, si alternano a incantevoli baie quasi deserte e cittadine assolutamente messicane, rustiche e sonnacchiose, dove si mangia pesce freschissimo con meno di 8 euro. Gente ovunque immancabilmente gentile e disponibile, una esperienza di vela anche quest’anno piacevolissima, in compagnia di due ottimi compagni, amici e marinai.Alla prossima!
Un abbraccio, Fulvio

Ecco il mare che cercavo!
Comunicazione del 1 marzo 2016
Huatulco offre un tratto di costa di una ventina di miglia con una decina di baie che si susseguono, immancabilmente con spiaggia chiara al fondo, divise da speroni rocciosi fittamente boscati. Non siamo in un documentario della BBC, sicchè ė un anno che non piove e il verde è completamente secco, ma l’insieme per me è comunque stupendo nella sua varia e vera naturalità. Il governo messicano sembra aver fatto le cose per bene, senza permettere albergoni sulla battigia come ad Acapulco (ormai in rovina) e lasciando più della metà di questa costa vincolata a Parco, marino e terrestre. Certo, non tutto è perfetto, anzi, quasi niente sentieri naturalistici e invece tracce di quad sulla spiaggia, ma non ci sono rifiuti, neanche per strada (e questa è un’assoluta novità), e in città ci sono prati e verde ornamentale in abbondanza. È stato piacevole stare al piccolo marina, conoscere le storie delle barche vicine, le tante esperienze, ma adesso siamo finalmente partiti, e ad appena 6 miglia dal marina ci siamo solo noi, in una di questa baie deserte. Razze e creature marine che saltano attorno a noi, uccelli a pesca, silenzio totale, temperatura perfetta, dondolio riconciliante, dopo la tensione per la temuta traversata delle 250 miglia del golfo di Tehauntepec, una reputazione molto peggiore del golfo del Leone in inverno da noi.
Abbiamo adesso davanti 300 miglia di mare abbastanza aperto ma benevolo, a regime di brezze, fino al marina di Acapulco, dove sosteremo il meno possibile. In mezzo bisognerà vedere se sarà possibile una sosta Puerto Angel (turismo locale) e a Puesto Escondido (molto turismo italiano) quello del film, altrimenti dritto fino alla famosa Rocca dei tuffi da 40m.
Poi però le successive 500 fino a Porto Vallarta offrono parecchi ridossi, baie e marina tutti da scoprire e assaporare. Intanto invece di un’ora, in questa baia che mi ricorda la insuperabile Bahia Pigna dell’anno scorso in Darien, Panama, ci fermiamo almeno tutto il giorno e la notte, oggi ė luna quasi piena!

 

“Bulbo Matto” riparte…!
Comunicazione del 12 febbraio 2016

ripartebulbomattoRitorno in barca
Arrivo che è notte, e la trovo lì placidamente ormeggiata alla banchina del marina, immersa nel silenzio, bella, pulita, mi sembra così grande, mentre la percorro di fianco studiandone ogni dettaglio. Il cantiere sembra aver fatto proprio un buon lavoro..

È l’inizio della quarta stagione di Bulbo Matto a Caraibi, adesso in Pacifico, in Messico. E ogni volta è uguale, per l’emozione e le aspettative, ed ogni volta è diverso, per il luogo, l’equipaggio, il programma, le difficoltà che mi aspettano. Quest’anno sento ancora di più il distacco dai miei affetti e dal mio consueto mondo cittadino.
Non più cinema, concerti, aperitivi o cene con amici, più o meno con gli stessi problemi (lavoro, figli, stress, politica, ecc).
Adesso invece ho accanto una coppia canadese che mi raccomanda con entusiasmo l’Alaska da cui provengono. Dall’altro lato altre due barche che sono su quella rotta. Peccato che il vento sia costantemente contrario, e che per arrivarci ė meglio mettere la prua a est, arrivare fino alle Hawaii e tornare verso nord per un totale di oltre 4000 miglia!!
Ma poi è bello ritrovare l’aria dei tropici, calda ma confortevole, i rumori della costa, uccelli che si chiamano, pesci che saltano, rane e cicale, e la mia barca con cui riconnettersi, gli spazi, i ripostigli, gli strumenti, i piccoli scrichiolii. Basta TV, traffico, fumo, frastuono, politica, guerra.

Un cambio di 180° due volte l’anno… Mica facile, ma rigenerante!

Solo due giorni fa il traffico di Mexico City, una infinita distesa di auto e camion, case botteghe e centri commerciali, inquinamento di ogni tipo da deprimere qualsiasi ambientalista e sfidare ogni buon senso. Oggi il problema è invece quello di intercettare i tecnici per far loro terminare i lavori che restano (autoclave, elettronica, bombola gas diversa, ecc) e poi partire per mari più balneari, per le balene, speriamo, del mare di Cortes, 1400 miglia più a nord. Speriamo di mollare in 3-4 giorni…


Amici vicini e lontani…
Comunicazione del 4 settembre 2015

Bulbo Matto riposa in Messico, ma qui non si dorme! abbiamo tre importanti appuntamenti per voi tutti, amici e conoscenti grandi e piccoli, velici e balneari, familiari e ospiti, navigatori e vacanzieri, ex allievi ed ex equipaggio. Prendete nota:

I PROSSIMI EVENTI IN PROGRAMMA:

Giovedì 10 settembre alle 19, la prossima settimana, presso l’Arsenale Borbonico Museo del Mare di Palermo, Via C. Colombo, presentazione del libro “Blog Atlantico – 10.000 miglia da Mondello a Panama” con foto di due anni di emozioni in Oceano e tra le Isole dei Caraibi.

Venerdì 30 ottobre alle 18, cioè tra un mese e mezzo, incontro aperto tra navigatori oceanici presso la Libreria del Mare, Via Cala, Palermo. Parteciperanno anche Maurizio D’Amico, Salvo Mazza, Mario Cudia e altri. Amici di fuori Palermo, approfittate per un w-e lungo di vela e vacanza! il giorno dopo…

Sabato 31 ottobre dalle 19 alle 24, c’è il primo BULBO MATTO OPEN PARTY, presso la mia abitazione in Viale delle Magnolie 7, incontro tra tutti gli amici e gli ospiti che in questi anni ho avuto il privilegio e la fortuna di conoscere ed avere a bordo per un giorno o per qualche mese. Ospite d’onore Sam Lloyd, marinaio inglese con esperienza di un giro del mondo in regata nel 2007- 2008, che mi ha affiancato nell’ultima stagione da Panama al Messico.

La stagione 2016 prevede la Baja California, Mare di Cortes, Messico, veleggiate, traversate, nuotate, trekking e whale-watching! Sognare non costa nulla, navigare su Bulbo Matto meno di quello che si pensa…

 

Vi aspetto in tanti! Un abbraccio. Fulvio


Come si fa a raccontare l’Oceano? Capitolo 3
Comunicazione del 11 giugno 2015

Come Si fa a raccontare l’oceano? Parte IIIa
E poi ci può essere mal tempo…
La linea dell’orizzonte ieri notte era tutta lampi. Sembrava un bombardamento spaventoso. Ed era di fronte a noi, tra nuvole nere come la pece, inaggirabile, ad una distanza forse di 10 miglia, si poteva solo tornare indietro alle Galapagos. Oppure affrontarlo. Ancora avevamo le stelle sopra di noi, e vento moderato da gran lasco. Non sentivamo ancora neanche un tuono. Ma che sarebbe successo ad entrarci dentro? C’erano 4-5 centri di attività principali, forse con un po’ di fortuna ci si poteva passare in mezzo. Ci saremmo arrivati in un paio d’ore o giù di lì. Amici miei che erano stati colpiti da fulmini avevano avuto elettronicamente bruciata, impianti elettrici fuori uso e via discorrendo. Intanto abbiamo rollato il genoa e rallentato ad osservare l’evoluzione e riflettere sul da farsi. I centri d’attività si spostavano lentamente verso sinistra, troppo lentamente. Dopo un po’ ci siamo fatti coraggio, abbiamo ripreso velocità e ci siamo diretti lì nel mezzo, provando a calcolare di infilarci tra due di questi. Man mano che ci avvicinavamo, la cosa sembrava possibile, ne abbiamo evitato uno, quello dopo sembrava abbastanza lontano, alla nostra destra. Ci siamo detti: se riusciamo a passare sotto quella coda nera di nuvole forse c’è la facciamo, si vedono di nuovo le stelle, dietro.
Ma più ci avvicinavamo e più questa coda nera si ingrandiva e si fondeva con l’ammasso incandescente di nuvole che lo seguiva. A un certo punto i lampi erano così ravvicinati, ed erano ormai sopra di noi, che era luce quasi di continuo, un’atmosfera agghiacciante e surreale.
Intanto da tempo avevamo prudentemente ridotto la randa con due mani di terzaroli e rollato metà del fiocco. Viaggiavamo bene, speravamo di esserne fuori presto, anche se l’obiettivo e le stelle dall’altra parte sembravano allontanarsi invece che avvicinarsi.. A un certo punto le nuvole sopra di noi, quelle oltre le quali forse c’era la fine di questo gioco di fuoco, erano così nere e grosse, che ci sembrava di stare passando sotto la campata di un ponte, sotto un tetto di cemento. Istintivamente abbassavamo la testa per non sbatterla.
Invece la sorpresa dell’oceano era proprio lì sotto: un groppo improvviso ci piomba addosso, la barca parte a gran velocità, grido a Sam che era al timone di tenere la rotta e di poggiare un po’, mi precipito sul rollafiocco e smanetto sul winch, lo tiro dentro a fatica. Poi gli passo la drizza della randa e corro all’albero a tirarla giù, per fortuna scende libera, un cursore dopo l’altro, una gran fatica ma senza intoppi, in un fracasso violento di sbattere di tela. Quando siamo senza vele ci ritroviamo in pozzetto ansimanti ma sollevati, mentre il groppo continua, sicuramente sono più di 50 nodi, spruzzi vaporizzati sopra e intorno, ma ormai non c’è più nessun pericolo. C’è chi ha disalberato per aver ritardato troppo manovre come queste, in simili situazioni. O distrutto vele e attrezzatura. Ci guardiamo negli occhi, la luce certo non manca, batti 5 Sam! Con te potremmo andare ovunque!

PS: il resto della notte passa tranquilla, rimettiamo vela a poco a poco. Però il pilota non funziona più, ci tocca stare al timone tutto il tempo. Anche il giorno dopo e questa ultima notte passano tranquille, anche se il sonno comincia a farsi sentire. Sam a un certo punto si è addormentato qualche secondo pure in piedi! Una vera battaglia. Sono le 10 della mattina dopo, diamo motore senza più vento, la costa è a 70 miglia ormai e c’è un magnifico sole, praticamente siamo arrivati…

PPS: anche l’arrivo in porto a Tapachula, Messico, con due metri d’onda, a mezzanotte e con un temporale in avvicinamento è stato piuttosto emozionante, ma abbiamo trovato un bel marina, personale disponibile e simpatico, molto caldo ma la bella sensazione del rifugio, della sicurezza e del mare … fermo, finalmente! Sistemato Bulbo Matto per quest’anno, siamo volati a casa, con ancora negli occhi e nel cuore questa fantastica, indimenticabile traversata di 1000 miglia in equipaggio ridotto, la mia seconda più lunga, ma certamente la più bella finora…

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Come si fa a raccontare l’Oceano? Capitolo 2
Comunicazione del 21 maggio 2015

Già, perché ogni medaglia ha il suo rovescio… L’Oceano in questa traversata di 1000 miglia dalle Galapagos al Mexico è soprattutto poca aria e tanta variabilità, e quindi tanto lavoro su Bulbo Matto, che deve cavarsela per lo più con le sue generose vele, non avendo abbastanza carburante per farne più di tante a motore. E tanto caldo di giorno, e di pomeriggio e di notte spesso rovesci di pioggia come cascate, tuoni e fulmini parecchio inquietanti, groppi di vento da 30 nodi che magari durano mezz’ora e poi magari calma piatta per ore: una bella scuola di vela nei dintorni dell’equatore!
E allora scruta le nuvole, studia il meteo, vedi se riesci ad evitare un nuvolone nero come la pece, fai camminare la barca anche se ci sono neanche 6 nodi di vento, metti il gennaker, leva il gennaker e vai di genoa, metti terzaroli, leva terzaroli, metti la cerata, chiudi tutti gli oblò, poi apri tutti gli oblò e metti tutto ad asciugare. E poi cucina, pulisci, fatti la barba, aggiusta qualcosa, verifica qualcos’altro, manda una mail col satellitare. Insomma il lavoro non ci manca proprio! Almeno non ci sono onde ed il mare è liscio come il Mediterraneo d’estate!
E poi bisogna dormire! Già, perché siamo solo in due, io e Sam, e ci tocca dormire due ore sì e due no, tutte le notti e anche di giorno, appena ti si chiudono gli occhi… Meno male che Sam è un grande, uno che ha fatto un giro del mondo in regata, uno che quando esci mezzo stravolto alle 3 di notte per il tuo turno di guardia, quando gli chiedi come va, con la barca forse un po’ troppo invelata ed ingavonata che fila a 7 nodi nella notte più buia che puoi immaginare, con la pioggia che minaccia ad i fulmini che scoppiano accecanti poco lontano, con tono felice è capace di dirti: “How does it go? Lovely!”… Solo un inglese purosangue può uscirsene con una tale espressione in un momento così e a quest’ora!
Comunque sia, oggi, all’inizio del quinto giorno, siamo circa a metà strada, avendo consumato finora poco più di 100 litri di gasolio dei 400 che abbiamo a bordo. Una media di 5 nodi, 120 miglia al giorno, non male, date le condizioni. Il vento è appena una brezza di 5-8 nodi, ma noi scivoliamo verso nord, sulla nostra rotta, a 3-5 di velocità. Meno male che da quando siamo partiti abbiamo avuto sempre una robusta corrente a favore!

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Come si fa a raccontare l’oceano?
Comunicazione del 21 maggio 2015

L’emozione di una visione, una manta enorme quasi sotto la barca, un gruppo di balenottere che ti passa accanto, i coni vulcanici piccoli e grandi di Isabela, gli uccelli marini che si lavano al mattino nella tua baia, la loro pesca in picchiata, il loro sguardo incuriosito quando volano intorno alla barca, il frullo di una minuscola rondine di mare a centinaia di miglia dalla costa più vicina, la luce dell’alba tra le nuvole e di taglio sulle colate nere di lava, le stelle che improvvisamente bucano le nuvole cariche di pioggia e ti avvolgono e si specchiano nelle stelle del plancton attorno a noi.
Come si fa a raccontare tutto ciò? L’oceano finalmente! L’oceano è tutto questo, è il silenzio della natura, sono le nuvole sempre diverse, le onde che ci spingono a volte ci respingono, il vento di cui abbiamo assoluto bisogno in questa ultima traversata di 1000 miglia dalle Galapagos al Messico attraverso le calme equatoriali, le albe i tramonti, i pesci le razze le foche i delfini che saltano qui e là, quasi di felicità. Questo è l’oceano, ma ogni momento in oceano è così, una continua sorpresa, una costante felicità, anche nella pioggia e nel buio pesto della scorsa notte, anche nella calda piatta assolata di oggi, perché dopo c’è questo scivolare nel tramonto, anche a 3 nodi, anche a 2, pazienza, il vento verrà, intanto godiamoci il silenzio, l’aria, la luce, la pace di questo momento unico.

PS: questo scritto ieri. Stanotte una stellata stupenda senza luna, all’alba Darwin, l’ultima della Galapagos, con il suo arco sul mare, e adesso un bel vento da 10 nodi e più di 1 di corrente, tutto a favore, e pieno sole! Un fantastico andare!

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La salvezza del natura sta nell’ecoturismo
Comunicazione del 15 maggio 2015

Ormai lo dicono tutti, dal WWF al World Tourism Organization. Negli USA lo studiano a livello di Ph.D. nelle Università. Ne hanno parlato insieme, di recente, i 500 delegati provenienti da oltre 30 Paesi che hanno partecipato all’Ecotourism and Sustainability Tourism Conference (ESTC15) tenutasi a Quito, Equador, per l’organizzazione del The International Ecotourism Society, e con la partecipazione del Global Sustainable Tourism Council. Due autorevoli organizzazioni da tempo impegnate nella promozione, codificazione e qualificazione di strutture e destinazioni ad alta attenzione nei confronti della protezione ambientale e della ecosostenibilità delle relative attività turistiche.
Parliamo qui proprio della salvezza della Natura dal Pianeta attraverso il turismo ecosostenibile e della conservazione. Nei nostri tempi di crisi e di casse pubbliche vuote (a livello mondiale va detto, con la Cina unica eccezione o quasi) le soluzioni vanno cercate altrove.
E per la protezione e riqualificazione ambientale è già in larga misura così, con gli operatori turistici più illuminati ed ispirati che si fanno carico diretto o in collaborazione con le locali istituzioni pubbliche di interventi ambientali sia nelle loro aziende, a volte estese centinaia o migliaia di ettari, ma che nel territorio circostante. Aziende che realizzano servizi e infrastrutture per la fruizione turistica, dai sentieri soprattutto, alla comunicazione, che organizzano tutto che necessita ai turisti “specializzati”, dal birdwatching al mountain bike, dal trekking alle spedizioni alpinistiche vere e proprie, dai safari fotografici all’horse back riding e così via.
Fino al turismo di avventura, a volte criticabile in la verità, per il rischio di trasformare la Natura in un parco di divertimenti. Ci riferiamo a canopy, zip lines, rafting, downhill biking, o alla pesca “catch and release”, solo per citarne qualcuno. Ma se questo è il prezzo da pagare per avere un fiume o un litorale pulito, una foresta protetta, una specie in pericolo di estinzione monitorata e aiutata a riprodursi o un’area recuperata, oppure la pesca controllata e regolamentata, che ben venga, no?
Qui in Equador, il Paese punta al turismo ecologico più qualificato, vantando oltre alle ben note e incredibili Galapagos una eccezionale varietà biotopica tra la fascia costiera su per la Sierra fino ai 100 vulcani alcuni di 6000m, e poi giù alle foreste Amazzoniche, ricchezza naturalistica testimoniata dalla più alta diversità ornitologica mondiale in rapporto alla limitata superficie (250.000km2): ben 1600 specie delle circa 10.000 esistenti. Un buon indicatore dello stato di salute e della qualità ambientale.
E con un entusiasmo ed uno slancio da noi purtroppo scomparso da tempo hanno già messo in campo risorse e iniziative di supporto a questo tipo di turismo, tra cui in un sistema di qualità (facoltativo) delle strutture turistiche che comprende varietà, caratteristiche e livello “ecofriendly” dei servizi offerti: un sistema da far invidia a qualsiasi Paese cosiddetto sviluppato!
Abbiamo fatto delle verifiche sul campo, visitando 4 lodges molto diversi tra loro: un bel B&B alle porte di Quito, base di vacanze naturalistiche nei parchi e riserve del Paese, un lodge più rustico al centro di una proprietà da 700ha di foresta nebulosa con oltre 10km di sentieri, un terzo alloggio più moderno, quasi lussuoso, con solo 7 stanze in 3 cottages nel bosco più fitto, e infine una stupenda fattoria riconvertita più che centenaria a 3800m di quota, ai piedi del cono innevato, perfetto, del vulcano Cotopaxi che sfiora i 6000m. Tutti caratterizzati però da una grande attenzione per l’ambiente e per il turista, per le tradizioni locali sia nei materiali usati e nello stile degli ambienti, che per i servizi ed i cibi offerti.
Qui un turista naturalista e non solo trova veramente il massimo di quello che può desiderare. Senza parlare naturalmente delle stupende testimonianze della colonizzazione spagnola fin dal secondo ‘500, in primo luogo le chiese ed il conventi di Quito…

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Galapagos, la realtà
Comunicazione del 15 aprile 2015

Il titolo sembra quello di un’inchiesta, ma in realtà vorrebbe essere solo un tentativo di uscire dal mito e descrivere un po’ le cose come stanno in questo arcipelago del tutto speciale. Sì, perché di una terra speciale si tratta, ma quale non lo è in fondo? Non è proprio questo il bello del viaggio, della natura, della scoperta? Il bello della diversità.
Qui, mettendo un momento da parte gli stupendi documentari naturalistici e le crociere che offrono qui, che ne fanno rivedere le scene e le emozioni dal vivo (e a caro prezzo), avendo tempo a disposizione, noi siamo andati finora alla scoperta di due delle isole maggiori, San Cristobal e Santa Cruz, in relax, con il “fai da te” ascoltando e confrontando le esperienze di altri viaggiatori.
Intanto occorre considerare che il clima è quasi arido, cactus, opuntias e arbusti bassi a tappeto, su un suolo vulcanico difficile da percorrere. Solo poche aree oltre una certa quota diventano più verdi e floride. La fauna non è ricchissima come ci si potrebbe aspettare: a terra iguane terrestri e marine, lucertole, e poco altro, poi uccelli, bellissimi quelli marini, sule, fregate, fenicotteri e altri, a mare gli onnipresenti e quasi domestici leoni marini, delle dimensioni di foche, giocherelloni ed invadenti, pensano che la barca sia di loro proprietà. A Isabela ci sono i pinguini. Tutti senza timore di essere cacciati, come si sa, ma questo vale anche per le cernie di Linosa e di Ustica, tanto per dirne una.
A San Cristobal abbiamo percorso gli unici due sentieri possibili, sfidando il caldo torrido, e questa è stata la vera è più bella scoperta: spiagge deserte, scogliere a picco sui frangenti dell’oceano, animali lì tranquilli a farsi fotografare, nessun ranger che, se da una parte ti insegna tante cose curiose, dall’altra ti condiziona tempi e sapori dei luoghi. Lo stesso per le immersioni. Dimenticate i vortici di squali pinna bianca e martello, ci sono anche quelli qualche volta, ma lo stupore include anche molto altro, a cominciare dal fatto stesso di essere li, dall’altra parte del mondo, di esserci arrivati sulla propria barca invece che in aereo, e di assaporare paesaggi diversi, per l’appunto, con i leoni marini che ti sbucano da dietro come siluri, con la risacca dell’oceano che sale sulle rocce lì vicino, con le fregate che volteggiano sopra e le sule che ti guardano con curiosità invece che con timore.
A Santa Cruz c’è una delle più belle spiagge che abbia mai visto in vita mia ad un’ora di cammino dalla cittadina, ma c’è poco altro e niente colonie di uccelli, per quelli bisogna andare in gita su altre isole vicine, cosa che faremo quando verranno i nostri amici.
Oltre ai pinguini, sappiamo che Isabela, la più remota e meno abitata delle isole maggiori, offre una enorme caldera fumante a 1400 metri di quota, tunnels di lava con il mare dentro, (sull’Etna hanno il ghiaccio dentro e non credo che vengano in molti da tutto il mondo a vederli..) e scopriremo cosa altro quando ci andremo.
Insomma la realtà supera l’immaginazione in quanto è realtà, appunto, e a condizione che non ci si faccia condizionare troppo dai media, dal marketing e dai miti, che magari glissano su caldo torrido, piogge tropicali, mosche cavalline, ecc, ecc. Per noi va bene così, vivere e scoprire poco a poco queste isole che hanno fatto la storia della protezione ambientale e dell’ecoturismo è un piacere ed un privilegio.

PS: ultima possibilità Galapagos il 15 maggio imbarco, 20 partenza per il Messico 950 miglia, arrivo previsto il 28-30, sbarco il 2-3. Barca in secca e ritorno a casa! Pensateci!..


 

L’emozione del Darièn
Comunicazione del 04 aprile 2015

Sam regge il timone con perfetta competenza nell’alba limpida del golfo di Panama. Abbiamo lasciato ieri pomeriggio Bahia Piña, costa del Darièn, rotta 240º sulle Galapagos (850 miglia) con sosta possibile all’isoletta di Malpelo, competenza della Colombia, molto meno nota ma dicono altrettanto ricca di pesce come l’isola di Coco, 500 miglia più a nord, al largo del Costarica.
All’estremità est di Panama, al confine con la Colombia, la Carrettera Panamericana, progetto di un secolo fà che avrebbe dovuto correre dall’Alaska alla Terra del Fuoco, si interrompe bruscamente di fronte alle montagne ed alla giungla del Darièn. E mai più sarà completata. Perché il Darièn è un parco naturale patrimonio, grazie a Dio, dell’umanità.
Che la strada non sia stata realizzata proprio a causa delle impervie condizioni geografiche, oppure perché osteggiata da guerriglieri e trafficanti che se ne avvantaggiano per esercitare meglio le loro attività illegali o antigovernative non è dato di sapere. Certo è che la natura ha  così vinto su tutto, rimanendo al sicuro da uno sfregio profondo che avrebbe sicuramente dato avvio ad attività economiche le più varie di penetrazione e sfruttamento. Mentre adesso solo gli Indios Emberà e Wounnan la abitano e la conoscono a fondo.
Attratti dalla promessa di natura incontaminata di questa area grande più della Sicilia e dalle culture indio, avevamo dato àncora a Bahia Piña, a meno di 50 km dal confine con la Colombia, e ne abbiamo fatto per qualche giorno la nostra base per vivere e capire un po’ di questa regione ben poco nota e frequentata.
Bahia Piña ci ha affascinati: provate ad immaginarvi un anfiteatro fitto di foreste, alte montagne dietro, le poche case dell’unico villaggio perse nella stretta pianura dietro una spiaggia che la borda da un angolo all’altro. Una mattinata a passeggiare nel villaggio, guardare le piccole attività, fare un bagno nel fiume tranquillo e trasparente (ma solo in questa stagione..) accanto alla breve pista dell’aeroporto. Poi un pomeriggio a risalire il Rio con nostro tender un paio di km con l’alta marea fino al villaggio. Ore a guardare il mare tiepido che letteralmente pullula di vita da ogni parte, pesci guizzanti, pellicani indolenti, qualche piroga con bimbi e ragazzi che pescano, donne gentili che propongono artigianato delizioso alla nostra barca, la sola in tutto questo ben di dio..
Poi ieri una gita su nel Rio Jaquè, mezz’ora più a sud, è stata la ciliegina sulla torta: intanto l’emozione di entrare nel fiume all’alba (e poi di uscirci, con l’alta marea del pomeriggio: un ostacolo pericoloso costato in passato la vita a molte persone) superando gorghi e correnti vorticosi sulla lancia un po’ sgangherata della nostra guida Rodolfo, poi di risalirlo una ventina di km fino a Birochera, villaggio degli indio Wounnan, casette di legno rialzate da terra, tanti bambini, canuzzi polli e una vita ai minimi termini.
Dopo aver parlato un po’ in giro, fotografato e passeggiato, alla fine, sulla via verso la lancia del ritorno, troviamo una piccola folla di curiosi e bambini nella capanna grande che fa da centro di riunione e da chiesa della comunità con una varietà di piatti e vasetti colorati, maschere, oggetti di legno e di tagua (avorio vegetale) intagliato. Impossibile non comprare qualcosa.
Ma adesso stiamo navigando in Oceano e siamo concentrati su meteo (perfetto, per fortuna), sicurezza e conduzione di Bulbo Matto, e su quanto avrà da offrire la nostra prossima mèta.


Arrivati…
Comunicazione del 2 aprile 2015
Cari tutti, ci siamo! Arrivati a San Cristobal! Dopo poca vela e 70 ore di motore nella piatta più totale. Emozioni nulle, però ieri finalmente abbiamo avvistato due balene. Ci siamo andati vicino e ci hanno permesso di andare per un po’ insieme, motore al minimo, a 30 metri, questo dorso immenso che affiorava e respirava soffiando.. che spettacolo! Alex ci si è perfino buttato, pinne e maschera, anche se non è riuscito a vedere nulla. Sulle isole vi dirò appena me ne faccio un’idea, ok? So che mi seguite via via, e ne sono contento. Cerco di condividere tutto questo come si può e con chi ne ha piacere, e scriverne è un modo piacevole anche per me. Date sempre un’occhiata anche al blog, ok? Da domani spero di essere di nuovo in linea con la solita gmail. Dimenticate il satellitare e questa mail da cui vi scrivo.
Baci baci..
Fulvio

Chi conosce Malpelo?
Comunicazione del 27 marzo 2015
Quasi nessuno, eppure da 10 anni questa isoletta, una rocca di neanche 1 miglio per 2 nel mezzo del nulla, a 200 miglia dalla costa colombiana, lato Pacifico, e 300 da Panama, è Sito Unesco Patrimonio dell’Umanità, da 15 anni è Marine Special Protection Area dell’IMO (International Maritime Organization), e da 20 Riserva Marina Integrale della Repubblica della Colombia. E tutto questo per merito di Sandra Bessudo, una donna, vorrei dire una ragazza, tanto amante della natura e del mare da fare della loro difesa la battaglia di una vita. Mi ha messo sulle sua tracce Laura, che l’ha vista intervistata in TV per la sua battaglia contro i trafficanti di pinne di squalo. Da ragazzina visitò l’isola (con suo padre sub e naturalista, immagino) e se ne innamorò. Poco dopo incontrò ai Caraibi per caso il suo Presidente, ed ebbe la sfrontatezza di perorare la causa della sua protezione. Batti e ribatti è riuscita e ottenere tutto quello che voleva. Oggi conduce la Fundaciòn Malpelo e almeno due spedizioni l’anno di ricercatori colombiani sull’isola. È qui che la incontro, per una seria di fortunate coincidenze, sulla mia rotta con Bulbo Matto da Panama alle Galapagos. In primis, senza permesso neanche mi volevano fare fermare. Superata a fatica questa resistenza con una serie di insistenze e di fantasiose motivazioni all’italiana, ci indicano un ormeggio sopravvento, intenibile, poi un altro a sud, così al largo da farci sentire assolutamente in mezzo al mare, di fronte ad una costa quasi verticale e a scogli ripidi assediati dalla enorme risacca oceanica, il tutto letteralmente ricoperto da migliaia di nidi e sorvolato da stormi di uccelli schianazzanti. La chiamiamo per radio, più volte, è sull’isola!, sta “buseando”, ci dicono, è in immersione col suo gruppo di ricercatori. Al tramonto vediamo arrivare verso di noi un gommone: è lei, minuta, giovane, occhi chiari, rimaniamo tutti impalati a guardarla. La accompagna Erica Lopez, Ranger della Riserva, un’altra forza della natura, entrambe ancora con la muta bagnata addosso, colombiane della nuova Colombia che vuole e sta diventando una Nazione moderna e rispettabile. Ci raccontano tutta la storia della “loro” riserva, del bendidio di vita marina che c’è sotto, delle loro battaglie ecologiste. Come vorremmo fare un’immersione, almeno una! Alex ha pure studiato biologia marina ed è master diver! Niente da fare sono piene di lavoro e di gente da seguire.. Alla fine della visita, dopo scambio di mail, abbracci e baci, Alex, lo spiritoso di bordo, con disinvoltura fa il gesto di buttare la lattina vuota di birra in mare: Sandra ha un moto, ma è uno scherzo! Con questa ultima risata ci lasciamo, noi con un po’ di rimpianto per le meraviglie che possiamo solo immaginare, augurandoci un ottimo proseguimento, ognuno per la propria rotta…Ragazzi questa mi scappava proprio e ve la regalo subito anche via satellite. Inoltratela ad un amico, se vi piace. Ma voi non usate questa mail, dimenticatela. Usate la solita . Tra qlc gg ritorno al Wi-Fi gratis…Piuttosto, Fabio, ho saputo che sei stato operato, spero che stai bene adesso. Ale e Dany, provateci a venir!!! Anche tu Fiona!


Il nostro canale
Comunicazione del 23 marzo 2015
Di quest’opera incredibile di ingegneria marittima, civile ed idraulica, sapevo già tutto: che era stata realizzata giusto 100 anni fa, con una lungimiranza tale da renderne necessario l’ampliamento sono in questi anni, dopo un secolo di sviluppo economico mai prima neanche immaginabile; che era costata allora la vita a qualcosa come 25.000 persone, tra malattie, incidenti e attacchi di puma, giaguari, coccodrilli e serpenti; quante navi vi transitano oggi, circa 40 al giorno, quanto pagano, anche 200.000$ e più l’una per una portacontainer 380 metri di lunghezza e 4000 pezzi impilati dentro e sopra, quanto guadagna un pilota senior, oltre 300.000$ l’anno, ecc, ecc. Avevo visitato con grande stupore le enormi chiuse già a giugno scorso, e transitato pure, aiutando il mio amico Matt, navigatore quasi solitario avendo a bordo solo il suo cane Oskar. Ma non pensavo che avrei ancora avuto un’emozione così grande, entrare nelle chiuse di notte, alla luce gialla delle fotoelettriche, al timone della mia barca. Ci è sembrato di entrare in un enorme teatro, su una scena tutta per noi, di cui eravamo noi ci protagonisti. Il copione era ben collaudato: quattro amici alle cime ai quattro angoli della barca, il pilota che mi suggeriva le manovre, una chiusa dopo l’altra, senza un problema, in zattera con altre due barche, siamo saliti 27 metri al lago Gatùn, dove abbiamo cenato (pasta all’amatriciana) e passato una notte fresca e tranquilla attraccati alle altre barche in transito come noi quella sera.
All’alba della mattina dopo, odori di uova con la pancetta, risate e chiacchere in una mezza dozzina di lingue diverse, poi arrivano i piloti e si parte per le 36 miglia di motore che ci portano alle chiuse Pedro Miguel e Miraflores, altri tre salti in discesa per scendere in Oceano Pacifico. All’ultima riusciamo ad individuare la webcam che ci riprende tutti e che potrebbe consentire ad amici e parenti di vedere il nostro transito in diretta. Probabilmente saremo troppo piccoli, quasi indistinguibili, la barca accanto ha issato uno striscione con suo nome, noi il gran Pavese in testa d’albero, mi levo la maglietta e mi sbraccio sorridendo.. Stamattina mi sono fatto magari la barba! Mi vedrà nessuno dei parenti e amici che ho allertato? Chissà.. Ma per noi è comunque una grande festa, un’emozione vera e forte..
Indimenticabile! Alle 15 siamo già in Pacifico, neanche mezz’ora e siamo ancorati davanti al marina di Balboa, stremati dal caldo e dall’emozione, accanto ad altre decine di barche, molte presumibilmente in partenza per la traversata più lunga, quella dell’oceano più grande. Noi prenderemo le Galapagos come una boa e torneremo indietro, a Panama o forse piuttosto in Messico, Mare di Cortes. Tutto il resto è troppo lontano e impegnativo. Ma quello che abbiamo fatto già ci soddisfa tutti in pieno, ed il Canale appena vissuto ne è un capitolo fondamentale. Chi se lo sarebbe immaginato solo 3 anni fa?


Il Canale di Panama di notte

Comunicazione del 14 marzo 2015

Ragazzi, è stato semplicemente fantastico! Condividerlo con una mail o un Blog questa volta non credo sarà possibile…
Il pilota è arrivato alle 6. Guillermo, lo stesso gigante gentile, un sosia di Danzel Washington, che era a bordo quando abbiamo fatto il canale a giugno sulla barca di Matt e del suo cane Oscar, oggi oltre capo Horn, sulla rotta verso Città del Capo.
Entriamo nella prima chiusa già col buio, sotto le luci gialle del canale, in formazione con altre due barche, con quella centrale, la più potente, che spinge tutti, e noi ai lati a tirare o frenare col motore agli ordini del pilota, per dirigere il convoglio al centro, tra due muri neri alti 10 metri decisamente inquietanti.
Noi di sinistra abbiamo due lunghe cime che ci trattengono da un lato, il catamarano dall’altro lato le altre due. Tutti naso in su a tirare foto, a cercare le webcam che dovrebbero riprenderci, a sorridere e sbracciarci ai cari dall’altro lato del mondo.
Emozione pura! Non avrei creduto, essendo la mia seconda volta, ma condurre la propria barca, qui, di notte, è evidentemente tutta un’altra cosa.
In due ore siamo fuori, senza un problema, tutto liscio e perfetto, un bel gioco di squadra.
Andiamo all’ormeggio nei pressi, il sugo all’amatriciana di Simona era già pronto, l’acqua bolle, un gran piatto di pasta e tutti a nanna, sfiniti certo più dall’emozione che dalla fatica, nella pace totale del lago Gatun.
Oggi la traversata del lago, 36 miglia, e verso le 14 le chiuse miraflores, in discesa verso il Pacifico. Io in Pacifico! Stento ancora a crederci…


 

Transito dal canale di Panama
Comunicazione del 10 marzo 2015
Ciao cari!
Brevissimo aggiornamento: Oggi ultimo giorno in Costarica, un viaggio stupendo! Poi vi racconto..

Intanto segnatevi questo link:
http://www.pancanal.com/eng/photo/camera-java.html

È il link per vedere in DIRETTA BulboMatto in transito al Canale di Panama!!!
Sarà venerdì 13 sera ora italiana dalle chiuse GATUN e sabato 14 sera alle chiuse Miraflores.
Avrò il GRAN PAVESE in cima all’albero, dovreste vedermi bene! Comunque guardate bene tra le opzioni del link, c’è anche una lente di ingrandimento per vederci meglio!! Vi manderò un’altra mail con l’orario un po più preciso..

L’emozione è grande! Non come il parto sociale di Irene ma quasi!!

Fate girare la mail a chi potrebbe essere interessato, mi rivolgo in particolare a Maurizio Albanese ed al Lauria!!

Il transito è confermato dalle 4pm local time, 10pm Italia Chiuse di Gatùn.
Il giorno dopo dalle 2pm Panama, 8pm Italia chiuse di Miraflores.

Una prima mondiale!!!

A presto, Fulvio

 


 

ShelterBay, in attesa della prossima stagione
Comunicazione del 6 giugno 2014

ShelterBay è il marina dove Bulbo Matto ora riposa, in secca, in attesa della stagione 2015. È il porto di arrivo, a Colòn, Panama, di tante barche di navigatori di tutto il mondo che, veleggiando per i Caraibi, ne raggiungono qui il fondo, il punto più sottovento che c’è, da cui, o a fatica si torna indietro, o si prosegue a favore di vento, superando la soglia fisica e psicologica del Canale, là dove inizia l’altra metà del mondo.
Non molti arrivano qui, la maggior parte girovaga tra le piccole Antille, vento al traverso e ridossi ogni 20-30 miglia, marina attrezzati e ricettività comunque collaudata, tranquillità garantita, dove anche noi abbiamo trascorso due stagioni indimenticabili.
Quelli che arrivano qui sono una selezione tra quelli più intraprendenti, o incoscienti, o stravaganti. Qualcuno forse è addirittura scappato da guai o da un passato inconfessabile. In ogni caso un popolo del mare ancor più interessante da conoscere, con cui chiaccherare al bar, davanti un birra, un pesce o un pollo alla creola.
Il marina è bello, nuovo, una decina d’anni, non tanto grande, 4 pontili da una trentina di barche l’uno, un buon ristorante, qualche camera d’albergo, due o tre negozietti con l’essenziale, una piscina. Sorge nell’angolo ovest dell’immenso e trafficatissimo porto di Colòn, punto di ingresso atlantico del Canale, e non ha altro attorno che la magnifica foresta pluviale panamense, uccelli di ogni tipo, scimmie e serpenti compresi. È circondato infatti da un parco naturale senza ombra di presenza umana a parte la strada di accesso, che comprende a pochi km la foce del fiume Chàgres, il cui sbarramento ha creato il lago Gatùn che consente il funzioniomento delle chiuse del Canale. Su questa foce e a sua difesa, in posizione strategica, sorgono magnifiche le rovine del Forte spagnolo di San Lorenzo, cannoni compresi: mancano solo i galeoni all’ancora e le voci dei marinai e dei coloni..
Tra riparazioni, pulizie, revisioni e protezioni alle attrezzature di Bulbo Matto in vista dei mesi di rimessaggio al caldo e alle pioggie torrenziali di qui, ho trascorso delle belle giornate a ShelterBay, incontrando il mondo in transito del popolo del mare che arriva fin qui.
Wladimir è francese, ha una barca d’acciaio sgangherata da vero zingaro del mare, un figlio di 17 anni che sta con lui, una moglie giovane e un altro figlio piccolo provvisoriamente da qualche altra parte. Sa cucire vele, o forse solo tele, ma sta cercando di appropriarsi di un capannone abbandonato nei pressi per stabilirsi come velaio del marina.
Anche Luis ha una bimba piccolissima malgrado mostri almeno 60 anni, una moglie colombiana a bordo, ha girato 14 anni tra i Caraibi e in mezz’ora mi fornisce un profluvio di utili informazioni di prima mano su Nicaragua, Belize, rotte varie verso nord e verso est, pirati, ecc.
Dovrei ascoltarlo a lungo e prendere note scritte ma intanto vedo arrivare Pierri, anche lui francese, vive solo su un catamarano-officina, per adesso è l’elettricista del marina, e mi deve controllare i pannelli solari e l’elettronica, meglio che lo inseguo o non mi farà nulla di quello di cui ho bisogno. Gli mancano alcune falangi, un incidente di bordo? Non so, non faccio a tempo a parlarne..
Numerosi gli italiani: Alberto e Pina hanno comprato una bella barca in alluminio di 20 metri per il loro progetto di giro del mondo. Lo faranno alla grande, con tutte le comodità, così come Marco, anche lui milanese, anche lui manager a riposo, armatore di un Swan 75. Mentre Marcello, genovese, moglie palermitana e figlio di 8 mesi, è “solo” il capitano di un Southern Wind 75, il cui armatore viene invece con moglie e figli quando può, qui e là, dove Marcello e gli altri due marinai gliela fanno trovare, tappa dopo tappa. Costoso e non proprio rilassante, direi..
Marco invece da anni vive e lavora con Enrica e il piccolo Pablo, 6 anni, a bordo di un più “umano” catamarano, con piacere li rivedo dopo averli incontrati l’anno scorso passeggiando su una spiaggia di St. Lucia. La sua filosofia è: se scegli la barca come mezzo di locomozione, che è lenta come una bicicletta, come puoi pensare di avere fretta? Lui attraverserà il Canale tra qualche giorno e solo alle Galapagos vuole fermarsi almeno 2-3 mesi..
Un giorno arriva diritto dalle British Virgin Islands, più di milleduecento miglia a nord-est, anche Gino e due altri amici milanesi. Un giorno appena e la barca, un 54′ in alluminio che pare un missile e col proprietario precedente è stata in Antartide e in Patagonia 7 anni, è già in secca per la stagione e loro in aereo verso casa e le loro occupazioni: questo possono fare ed è meglio che niente, dicono..
Anche Danilo, in attesa di mollare il suo ristorante ed il resto (vive in Brasile da più di 20 anni), viaggia a tappe e per quest’anno lascia la barca a ShelterBay. 8 traversate atlantiche, look di conseguenza, giovane moglie rumena e figlio di 6 anni, pare impossibile che non farà anche lui il Canale ed il Pacifico, prima o poi..
Noi il Canale per quest’anno lo abbiamo fatto su un’altra barca, aiutando con le 4 cime prescritte un francese che viaggia da solo con un bel boxer, incurante delle problematiche ovvie (e degli odori) che la cosa comporta. Ancòra non ha deciso se sarà Pacifico tropicale o capo Horn. Certo è molto sicuro di sè e può ben andare dove vuole con la sua bella barca in alluminio, progettata per qualsiasi esplorazione. A metà dell’Atlantico ha avuto un blackout elettrico totale: 1400 miglia da solo, senza pilota automatico e senza strumenti, solo un GPS portatile..
Un mondo vario ed eccitante arriva e passa da ShelterBay, ognuno col suo passato, il suo carattere, le sue aspirazioni. Non ci si annoia, a ShelterBay..

 

Our passage Cuba to Panama
Comunicazione del 4 giugno 2014

Dopo la vacanza cubana, così felice e rilassata, ci resta “solo” un’ultima traversata di quasi 800 miglia fino a Panama, destinazione finale della nostra stagione 2014. Con Maurizio a Massimo, già asse portante dell’equipaggio Atlantico ARC del novembre 2012, decidiamo di programmare una sosta a Giamaica, che però resta un centinaio di miglia sopravvento alla rotta diretta per Panama. Studiate e considerate le previsioni, converrà affrontare una rotta controvento anche a motore prima di sperare in un traverso più favorevole verso sud. Lasciamo Cienfuegos a mezzogiorno del 9 maggio, confidando in un aliseo nella norma, cioè da est e quindi contrario, ma che dovrebbe attenuarsi nella notte. Nel pomeriggio resta però ancora sostenuto, sui 15-20 nodi, le onde ci sbattono abbastanza, e decidiamo di prenderci una sosta dopo una ventina di miglia (con ottimo bagno) a Guajimico, una bella caletta minuscola che è quasi un fiordo, ed è l’unica riparata in questa costa vesto oriente altrimenti quasi rettilinea. Alle 18 il vento finalmente cala e riprendiamo a motore verso i Jardines della Reina, tenendoci il più possibile sotto costa, considerando una previsione che dava nella notte vento da nord nord-est sui 20 nodi. Se così sarà, potremmo continuare al traverso o di bolina larga abbastanza riparati e veloci guadagnando sempre sopravvento, verso est, quanto più possibile, prima di poggiare a sud verso la Giamaica.
Verso il tramonto si mette vento come previsto e mettiamo finalmente vela. Peccato che rinforza, anche troppo, nella notte raggiunge i 30-35 nodi e poco a poco gira pure contro! Alle 2 siamo ormai di bolina stretta e il ridosso non esiste più, i Jardises sono un arcipelago a pelo d’acqua che lascia ampie zone di mare libero dove il mare monta liberamente e in fretta: alcune onde superano sicuramente i 3 metri, salgono a prua e a volte spazzano la coperta oltre la poppa. Siamo ben presto bagnati fradici malgrado le cerate, anche se freddo per fortuna non ne fa, e la luna che a tratti spunta tra le nuvole rinfranca un pò gli animi. Alle 4 del mattino individuo una via di fuga: dritto davanti a noi, appena sopravvento, c’è il faro di Cayo Bretòn, con una rotta di sicurezza ben chiara tra i terribili bassofondi del’arcipelago. Orziamo al limite, aiutiamo col motore, all’alba siamo sotto il faro, stanchi morti ma finalmente al riparo! Àncora su 5 metri di fondo e tutti a nanna! Dolce riposo dolce riparo, barca magnificamente ferma!
Al mattino abbiamo solo la visita dei pescatori locali: un barcone sgangherato in ferrocemento ci offre aragoste e pesce per la nostra dieta altrimenti povera di proteine fresche. Il 10 maggio trascorre così, al sole e nel silenzio assoluto..
Ripartiamo il mattino dell’11, dopo pranzo, appena cala un pò l’aliseo. Prua ancora ad est, a guadagnare sopravvento. Se andrà male potremmo ancora ridossarci a Cabo Cruz, all’altro capo dei “Jardines”, altrimenti rotta diretta a sud. Nella notte ci viene incontro una linea di nuvole nerissime: passandoci sotto sembra che finirà col caderci sulla testa.. Non sappiamo cosa possa accadere, pioggia a cascata? Colpo di vento? Siamo pronti, due mani di terzaroli già su e fiocco piccolo. Non cade nulla, niente colpi, ma il vento aumenta progressivamente fin oltre i 30 nodi, mettiamo su questa volta anche la terza mano e via, poggiamo verso sud, in rotta perfetta col vento al traverso. Non è molto comodo, ogni onda ci fa ingavonare fino a 30-40 gradi, ma la barca fila in perfetta sicurezza oltre gli 8 nodi, gli spruzzi sono molto meno della prima notte, mentre la luce della luna adesso è piena, uno spettacolo indimenticabile.
Il pilota automatico fa egregiamente la sua parte e la bellezza della navigazione è affascinante. Anche quando la forza del vento incute rispetto e mi suggerisce di poggiare qualche grado per “ammorbidire” le raffiche più forti.
Al mattino del 12 il vento, come da previsione, diminuisce e ci accompagna in gloria e rilassatezza fino a Montego Bay, dove arriviamo alle 17.
Troviamo un bel marina, un ottimo ristorante, ma solo posto all’ancora, e un ufficiale sanitario senza molta voglia di scherzare: “Avete la tanica per le acque nere? Quanto è piena? Vietato ovviamente scaricarla nelle acque territoriali e vietato anche depositare spazzatura nel marina, che non è abilitato a ricevere e smaltire “rifiuti internazionali”, cioè che vengono dall’estero (sic)..” Vabbè, senza esitazioni giuriamo di osservare pedissequamente tutte le prescrizioni di legge, e finalmente siamo accettati in territorio giamaicano per una cena di tutta soddisfazione..
Restiamo altre due notti, affittiamo anche una macchina per un giro nell’ovest di questa grande isola, ma non ci troviamo molto bene. Sembra un pezzo di America, la sera non è raccomandabile andare in giro, la zona turistica non dice nulla e non c’è traccia nei locali per indigeni della musica geniale di Bob Marley, se non nei CD delle bancarelle. Non ci sentiamo nè ben accolti, nè troppo al sicuro, magari ci sono posti migliori che non abbiamo visto. Sarà anche il consumismo, la troppa plastica e le troppe macchine in giro, specie dopo la calda umanità, la musica e la naturalità di Cuba.
La mattina del 15 partiamo senza nostalgia, con una buona previsione di vento da est “morbido”, sui 15 nodi al traverso, questa volta verificata in pieno. Una navigazione senza storia, tutto assolutamente tranquillo, non tocchiamo le vele per giorni. Da registrare solo una pioggia torrenziale di più di un’ora appena doppiata Sud Negril Point, estremo ovest di Giamaica, e un arrivo un pò avventuroso alle San Blas, dopo meno di 4  giorni.
Qui infatti, alle 3 di notte, nel bel mezzo di un arrivo solo strumentale, inseguiti da un’altro nuvolone pauroso, anche questa volta tra basse isole quasi invisibili e banchi di corallo micidiali, siamo traditi dall’ecoscandaglio, che misura profondità inesistenti! Recupero lo scandaglio a mano, intanto per fortuna avvistiamo altre barche alla fonda dietro Porvenir, porto di ingresso delle San Blas, e appena possibile diamo anche noi àncora e torniamo a respirare di sollievo: solo l’indomani, col sole, realizzeremo di aver evitato almeno due banchi di corallo quasi per miracolo..

Un mese e mezzo a Cuba
Comunicazione del 16 maggio 2014

Oggi, 9 maggio 2014, lasciamo Cuba con molta soddisfazione e un pò di nostalgia. È stato un soggiorno felice, interessante, rilassato, stimolante. Cuba, si sa, è una realtà del tutto singolare, un residuo storico, anzi antistorico, che resiste malgrado tutto al consumismo e al capitalismo. Al costo di una permanente povertà per I cubani, ma assolutamente dignitosa e da non confondere con indigenza.
Tutti o quasi tutti poveri quindi, ma senza mancare dell’indispensabile, magari razionato. Anche senza le nevrosi e le tensioni della nostra società, ma anche senza spirito imprenditoriale, senza molte prospettive e iniziative, quasi sospesa, in attesa di non si sa cosa. Per noi capitalisti un’esperienza assolutamente rilassante, serena, umana, felice.
L’Avana è una bella città, un centro ancora parecchio delabrè (come la nostra Palermo, del resto), grandi boulevards, monumenti. Scenica, allegra, musica dappertutto. Trinidad ancora fantasticamente coloniale, certo turistica ma autentica, piena di campesinos con i loro carretti di frutta, casette colorate, gente tranquilla per gli affari loro, per nulla travolta dal turismo. I Cayos stupendi, natura allo stato puro, sospesi tra mare e cielo, pieni di uccelli e pesci, silenzi di risacca e vento.
La nostra navigazione verso sud, lontano dalle piogge e dagli uragani estivi comincia dura, venti da est fino a 30-35 nodi e onde di conseguenza. Una notte di bolina larga con molte secchiate d’acqua, una di riposo ai Jardines de la Reina, e un’altra al traverso, più maneggevole, fino a Montego Bay, Giamaica.
Il ritorno al turismo e all’economia tradizionale è abbastanza triste: gente non sempre gentile, a volte invadente, turisti anglosassoni con una birra sempre in mano e il pancione, case holliwooddiane e resorts di gran lusso accanto alle baracche tipiche dei Caraibi. Macchine dovunque e anonimi shopping centers. Una colonia americana. Peccato, perché la gente semplice è la stessa ovunque, anche qui, dolce e gentile e anche fisicamente bella, anzi tra le più attraenti dei Caraibi, uomini e donne..
Ma adesso basta, le previsioni per le 500+ miglia che ci rimangono sono buone, e domattina si parte. Presto saremo alle San Blas, una settimana ancora prima di mettere la barca a riposo a Colon e noi stessi a casa..


Un venerdì sera speciale
Comunicazione del 20 marzo 2014

Il venerdi sera a Gros Ilet (si pronuncia: groos-ilè, con la “o” strascinata e la “esse” dolce come un passion fruit maturo), qui a Saint Lùcia (accento rigorosamente sulla “u”) è una istituzione da non perdere. In tutte queste Isole la fine della settimana si festeggia con una cena fuori, o almeno con una birra, preferibilmente con della buona musica dal vivo. Ma qui, in questo piccolo villaggio sul mare, la scena è ancora più divertente.
Stamattina ho provato l’ascesa ad uno dei “Pitons”, coni vulcanici a picco sul mare, simbolo dell’isola e Patrimonio UNESCO, ma la fatica del sentiero, così ripido da necessitare di corde fisse in parecchi passaggi, e gli scrosci continui di pioggia che mi facevano temere un’altra scivolata come quella in cui ero incappato l’anno prima a Guadalupa, miracolosamente senza conseguenze, mi hanno fermato ormai a 3/4 dalla vetta.
Adesso ho le ginocchia molli, dolori ovunque, ma è venerdì e non mi posso perdere lo spettacolo delle cuoche al lavoro, dei cibi fumanti, della musica e dei balli, tutto per strada, e della gente locale in giro per vendere qualcosa o solo per divertimento. E il cibo qui è particolarmente buono, ben speziato, per lo più cotto alla brace, che sia pesce, aragosta, pollo o braciole di maiale, o ancora qualcuna delle loro frittelle dal contenuto e dal gusto imprecisato, ma immancabilmente saporito e accattivante.
Finiamo col ballare tutti, in mezzo alla strada, davanti a delle casse monumentali, tra musicisti improbabili, ballerini un pò brilli, turisti più o meno cotti dal sole, alcuni di passaggio, altri – si vede bene – veterani, velici o da spiaggia, stracciati o in tiro, ogni tipo di specie umana insomma, stasera accomunati e travolti dal gusto per un reggae o una soca..


 

 

Cumberlad bay
Comunicazione del 10 marzo 2014

Dopo già quasi un mese di turismo, civiltà, urbanizzazione e natura, certo magnifica, ma parecchio “condivisa”, questa baia quasi deserta, praticamente selvaggia, con intorno un anfiteatro lussureggiante di verde anzi di “verdi” di tutte le sfumature possibili, è un salutare ritorno al primitivo.
Ci si sente quasi dei pionieri, ad entrare qui, tra due banchi di corallo affiorante, scortati dall’immancabile “boat boy” sorridente che ci guida all’ormeggio, ancora a prua e cima lunga alla palma più vicina, per poi offrirci frutta fresca, cena al ristorantino, pesce quando c’è e la gita alle vicine cascate Dark View Falls, nel pieno della foresta pluviale.
Che sia un posto speciale lo dimostrano due barche da vero “popolo del mare” che stazionano qui, ci dicono, da settimane, stracariche di pannelli solari, bidoni, vele, cordami, provvigioni e attrezzature varie ancorate ovunque in coperta, con a bordo un numero imprecisato di adulti e bambini.
Andati via i boat boys, comprata frutta tropicale varia e pomodori, concordati costo e orario della gita per l’indomani, la pace ritorna questa volta assoluta, il silenzio totale, nessuna radio, voce o motore inopportuno, mentre il tramonto si approssima perfetto.
Ci coccola l’atmosfera magica, solo il mormorio del mare sulla spiaggia, la brezza morbida che cala nella sera, il volo e il verso degli uccelli, i pesci che saltano, qualche gallo in lontananza, e naturalmente quella sorta di suono metallico che offrono i grilli di queste parti..
Mi viene voglia di stare qui a tempo indeterminato, sto acquisendo forse anche io il ritmo vero dei Caraibi?

Il popolo del mare – 2
Comunicazione del 10 marzo 2014

Tom e Jan meritano un blog tutto per loro. Di storie così non se ne incontrano molte. Americani del nord-ovest, da giovani sposi per 9 anni hanno speso serate e weekend a costruirsi la loro barca, o per meglio dire il loro sogno di vita, nel cortile di casa, come in certi libri di avventure.
Tom, carpentiere e saldatore, se l’è fatta in ferrocemento, cioè in cemento armato spesso 4 cm, con dentro un’armatura di filo di acciaio sagomato a forma di carena. E poi la cabina di legno sopra, due alberi, gli interni, gli impianti, le vele, ecc ecc. fino allo scalo per il varo, nell’88. Tutto lui e Jan. Anche i pezzi speciali dell’attrezzatura, disegnati e fatti fondere in bronzo.
E poi via, prima le acque di casa, Canada, Alaska, Oregon. Poi il Pacifico, le Marchesi, le Figi, le Tuamotu. La Nuova Zelanda. L’Australia. Si fermano a Guam, base e territorio americano, per lavorare 12 anni. Poi Filippine, Malesia,  l’Indiano, il Sud Africa, l’Atlantico, il Brasile e adesso, solo adesso, i Caraibi. Sempre con la loro barca di 12 metri e 18 tonnellate, sempre con lo stesso motore dell’88 da 18 cavalli..
Praticamente ne so più io di loro, di queste isole. Posso ricambiare i loro racconti infiniti con qualche consiglio locale: di godersi st. Vincent finché possono, verde e selvaggia. Di evitare scali troppo turistici e costosi. Di puntare piuttosto su Dominica e Barbuda.
Forse ci ritroveremo a Panama a maggio. Vorrebbero chiudere il giro, per i 70 anni di Tom, lasciare la barca della loro vita e ritirarsi al caldo, a Guam, in una casa a prova di cicloni, senza meteo da ascoltare ogni giorno, senza ancore da controllare ad ogni ormeggio, senza manutenzioni, controlli e riparazioni continue..

Carriacou, piccola ma un universo a se…
Comunicazione del 6 marzo 2014

Di Carriacou, di questa piccola, semplice, isoletta di Grenada avevamo già scritto l’anno scorso. Ci aveva colpito la schietta bellezza del paesaggio, la carineria della gente, la natura ancora poco rovinata dalla presenza dell’uomo e dal turismo. Quest’anno abbiamo speso qui altri giorni sereni, tra bagni nelle numerose isolette nei pressi, passeggiate su spiagge deserte, e chiaccherate serali con i navigatori di tutto il mondo a Tyrrell Bay, base obbligata di tutti i marinai, qui in sosta variabile da pochi giorni a parecchi anni.
Abbiamo così meglio conosciuto panorami, sentieri, baie, genti usi e costumi dell’isola, assaporando ancor meglio l’atmosfera rilassata che già ci aveva tanto conquistato.
Oggi un gran bagno del tutto soli a White Island, un’incantevole isoletta con tanto di spiaggia corallina, palme e mangrovie, acque di una trasparenza incredibile, pesci multicolori, razze e quant’altro.
Tyrrell Bay è una comunità nella comunità, popolata dai caratteri più disparati, persone carine o strampalate, sapienti o disadattate, a volte geniali, che hanno lasciato la società civile per vivere in barca, senza affitti, tasse nè bollette, ma anche senza cinema, teatri o concerti che non siano quelli delle percussioni o delle “steel band” tradizionali. Gente che si arrangia come può, valorizzando i suoi saperi o inventandosene di nuovi, pur di recuperare quel poco che serve per vivere. Nella stagione degli uragani non ne rimangono che una quarantina, cioè una ventina di barche, che ad ogni avviso di burrasca si rifugiano tra le mangrovie lì vicino, per poi uscirne fuori uno o due giorni dopo, a pericolo scampato.
Ogni venerdì sera qui si fà festa, musica, karaoke, birra e cena fuori.
Ieri un gruppo di 5 fantastici percussionisti, con esercizi di danza e di acrobazia inclusi, con nuovi incontri, e scambi di esperienze, racconti di avventure e navigazioni.
Giorgio e Pinuccia sono 10 anni che girano i Caraibi, 6,7 o anche 9 mesi l’anno. Mauro è arrivato quest’anno, pilota alitalia fresco di pensione. Dominique, francese, invece è 25 anni che è qui, ha trasformato il suo trimarano in un’officina meccanica fornita di tutto il necessario. In pratica un locale in legno galleggiante 10 metri per 6; è stimato e molto considerato da tutti.
Daniela, titolare del miglior ristorante di Tyrrell Bay, una simpatia contagiosa, è anche la miglior fonte locale di informazioni, dal costo delle case, al miglior elettricista, agli eventi storici e sociali più importanti, dato che vive qui da 13 anni. Ognuno una sua storia, ognuno una croce, o, meno spesso, mi pare, una felicità da condividere. Per noi, insieme a tanto relax, una scoperta continua, umana, emozionale.


 

Tra Martinica e Dominica…
Comunicazione del 25 febbraio 2014

Dopo tre giorni le giunture ci fanno ancora male, troppe le salite, le discese, il fango, la pioggia. Sette ore di cammino su un sentiero all’inizio perfetto, ben tracciato e ben mantenuto, poi via via sempre più impervio, scosceso, scivoloso per via degli scrosci di pioggia a volte leggera ma pungente come spilli a volte torrenziale. Uno dei tanti sentieri naturalistici di Dominica, un’isola che ha puntato molto sui parchi, una quindicina, e sulla sua natura in gran parte incontaminata.
Ma ne è valsa la pena, prima la foresta pluviale (nessun dubbio sull’origine della denominazione) con mille tonalità di verde, poi le cime frastagliate e scoscese eppure sempre ricoperte di vegetazione, quindi la “desolation valley”, brulla, tutta fumarole e sorgenti sulfuree, infine il “boiling lake”, una caldera ribollente, come un pentolone per pasti pantagruelici di giganti affamati. Unico nel suo genere, appena più piccolo del suo unico omologo neozelandese. Insomma non ci si può annoiare, ai Caraibi.
Come la traversata di ieri dalla Martinica. Lasciamo la Francia quasi senza vento, mare piatto e pieno sole in assoluto contrasto con la pioggia che sferzava fitta alle nostre spalle la cima del vulcano La Pelèe, tristemente famoso per l’esplosione del 1902 che uccise 30.000 persone. Poi il vento solito, l’aliseo da 20 nodi e onde da 3 metri rinforzate dalla corrente. Un primo groppo in avvicinamento ci suggerisce di ridurre ulteriormente la randa fino alla terza mano: appena in tempo, 30 e più nodi di raffica. Torna il sole, cala il vento, ridiamo vela mentre ci avvicinamo a Dominica. Neanche dieci minuti e la grande isola a prua scompare dietro altra pioggia, mentre torna a piovere anche a poppa, sopra Martinica. Per una mezz’ora non vediamo alcuna terra, potremmo anche essere a metà dell’Atlantico, scrutiamo le nuvole cercando di prevedere se prederemo acqua dal cielo o no. Poi tutto scompare e torna il sole.. Arriviamo all’Anchorage Hotel, approdo storico di Dominica, 30 miglia in appena 4 ore, ancora una volta in pieno sole, stanchi ma felici della traversata piena di emozioni e della nuova isola da esplorare.

Già, difficile annoiarsi ai Caraibi..


 

Alle Grenadine…
Comunicazione del 7 febbraio 2014

Ci devono essere le alghe più tenere e dolci dei Caraibi, alle Grenadine, se le tartarughe sembrano gradirle così tanto da riunirsi a decine, a Tobago Cays, a Petit st. Vincent, a Union, quasi indifferenti a noi intrusi.
Ormai siamo quasi di casa, tra queste isolette, banchi corallini, scogli e villaggi tranquilli e sonnolenti, anche se quest’anno abbiamo “scoperto” ancora baie, ridossi e spiagge nuove, che non avevamo esplorato in precedenza.
Come la laguna e la spiaggia sopravvento, deserte, di Mayreau, la Chatham Bay di Union, una lunga spiaggia con un piccolo resort (italiano) e tre ristorantini del tutto rustici in un anfiteatro verde senza una casa, o la piccola White Island a sud di Carriacou, spiaggia e barriera corallina, mangrovie e collinetta, in vendita per chi avesse 4 milioni di USD da investire.
Divise tra le isole-stato di Grenada e di st. Vincent, sparse su un tratto di mare di 50 miglia per 10, le Grenadine sono ancora un paradiso della natura praticamente incontaminato. Non proprio sconosciute, in verità, considerato in numero crescente di charter che ormai le propongono e le frequentano, ma pur sempre un magnifico paradiso rimane.
Oggi una bella bolina di 26 miglia da Mayreau e Bequia, 20 nodi di vento, due mani di terzaroli e il nostro ottimo fiocco olimpico bugnato un pò alto per evitare le onde, e 7 nodi e mezzo di velocità media.. Finalmente un po’ di vela vera, dopo giorni di bagni e ozio tra questa isole ritrovate.
E a sera cena con Lorenzo e Rossella, amici velici ritrovati, con davanti l’aricciola di 3kg buoni appena pescata da Niki con grande perizia, ed il consueto scambio di notizie, storie ed esperienze a completare l’atmosfera da navigatori ormai consumati di mari più o meno esotici..

 

 


 

Il popolo del mare…
Comunicazione del 6 febbraio 2014

Chi mi conosce sa già che uno dei miei divertimenti maggiori è incontrare gli altri navigatori e ascoltare le loro storie. Immaginare le loro avventure, raccogliere spezzoni della loro esperienza, sentirmi parte di questa variegata, affascinante popolazione, adesso che anche io nel mio piccolo ho fatto una traversata oceanica.
Più o meno sono tutte storie interessanti, ma qualcuna merita proprio di essere trascritta.
Tom è americano, da 5-6 anni conduce un ketch di 13 metri in giro per i Caraibi con turisti soprattutto americani. Un’apparente età di 66-68 anni, una parlantina quasi inarrestabile ad indicare, secondo me, una interna, nascosta solitudine ormai incrostata ed irreversibile, in pochi minuti mi racconta della sua origine dal mitico Nantucket, Cap Cod, del suo primo imbarco a 16 anni su una nave oceanografica americana che, raccolti anche due vulcanologi italiani e la loro apparecchiatura a La Spezia, trascorre un intero anno in oceano indiano per ricerche varie, dopo essere stati ricevuti a Monaco dal Principe Ranieri e da Grace Kelly, aver avvistato la lava di Stromboli da 40 miglia di distanza, essere transitati da Suez e quant’altro. Il suo sogno da pensionato? Una casetta a Roma e un ristorantino proprio sotto, dove assaporare il “miglior cibo del mondo”.
Anche Jim è americano. Lo incontro in cantiere con su una maglietta sporca all’inverosimile ma inequivocabilmente proveniente da Stromboli! Lo fermo, mi racconta nei esserci passato 9 anni prima (!), avendo traversato l’Atlantico da ovest ad est per vivere un paio di anni in Mediterraneo, per poi riattraversarlo di nuovo da est a ovest (come me l’anno scorso) e continuare per il giro del mondo, via Sud Africa!! Giro terminato già da un pò.. Allegro e con un gran sorriso stampato in faccia, molto più ‘sistemato’ di come faceva intendere la suddetta maglietta, gli chiedo delle Galapagos, delle Marchesi, dei venti incontrati, di come e dove si potrebbe lasciare la barca in caso di traversata del Pacifico. In dieci minuti faccio anche io mezzo giro del mondo con lui..
Luigi invece è italiano. Grossista di pesce a Milano, dopo l’ennesimo furto subìto, molla tutto in 24 ore e con la moglie parte a vela. Senza figli, ha già veleggiato 4 anni lungo le coste del Brasile. Parliamo di pirati, presenti anche in qualche area di quell’enorme Paese tipo l’amazzonia, ma che lui è riuscito sempre ad evitare navigando anche a 3-400 miglia dalla costa, di meteo sudamericano, di altre rotte meridionali.
Altri ne incontrerò, di altri ne racconterò..

Sul tender…
Comunicazione del 6 febbraio 2014

Sul tender, stretti tutti e sei, ci avviamo piano piano verso il pontiletto del ristorante, qui a Carriacou, dove ceneremo quest’ultima sera di questa nostra vacanza caraibica. Abbiamo di fronte la luminosità calda del tramonto, il vento è finalmente calato, un’altra giornata perfetta, quasi magica sta per terminare nel silenzio della baia. Nessuno ha voglia di parlare, ognuno segue i suoi pensieri, io tento un riassunto a beneficio di tutti: è stata una vacanza speciale, dalle difficoltà del rimettere in servizio Bulbo Matto in pochi giorni dopo quasi 8 mesi di riposo, al primo, impegnativo oceano fino a Grenada, dalla visita di quest’isola così verde e tranquilla agli ancoraggi nelle lagune di Tobago Cays, di Petit St. Vincent e di Mayreau, dal micro museo di Carriacou alla selvaggia Chatham Bay di Union, “scoperta” oggi verso pranzo. Dagli scrosci improvvisi di pioggia alla lezioni di vela. Un pezzo di vita insieme, più che una vacanza.
Ci siamo trovati insieme praticamente per caso, siamo anche molto variegati nei caratteri e nelle esperienze, ma questo non ci ha impedito di andare molto d’accordo, di ridere e scherzare e di volerci alla fine molto bene, pure.
Adesso sarà difficile separarci, per chi va via e torna alla vita “normale” ancor di più, ma in questo momento è meglio non pensare e questo e tornare in silenzio ai nostri recenti ricordi, goderci questa ultima luce del tramonto negli occhi mentre il tender si avvicina al pontile, e pregustare la cena che sta per arrivare, insieme al vino e alle immancabili risate..


Trinidad
Comunicazione del 24 Gennaio 2014

La zattera di emergenza è arrivata dopo cena, quando ormai eravamo rassegnati ad aspettare un altro giorno a Trinidad, piantati in cantiere, senza altro da fare che aspettare.. Trinidad ha le sue attrazioni, ma è più famosa per il carnevale (e relativa “turbolenza” popolare) che per altro. Noi avevamo già visitato il “Pitch Lake” non proprio un lago, ma un’area vasta circa un km dove da sempre il petrolio emerge allo stato quasi solido e viene estratto con le ruspe. Tra le zolle di nero che sembra asfalto si raccoglie dell’acqua piovana purissima dove si può anche fare un guazzetto fresco e piacevole, e la distesa viene usata dalle aquile di mare per spolpare le loro prede in santa pace, e dagli avvoltoi che aspettano il turno per divorarne i resti. Un posto decisamente originale. E poi la Riserva di Caroni, una ampia distesa di canali e mangrovie, regno di ogni sorta di granchi, serpenti e anfibi, dove migliaia di uccelli si radunano al tramonto come per raccontarsi la loro giornata di pesca nell’oceano.
A questo punto eravamo più che pronti a partire, ma rassegnati ad aspettare ancora un giorno, e Invece la zattera ė arrivata, inaspettatamente, bella revisionata e impacchettata, con tante scuse per problematiche misteriose comunque superate, con un conto doppio del normale, ultima definizione necessaria e indispensabile per affrontare qualunque navigazione, figuriamoci 80 miglia di oceano aperto fino a Grenada e sei mesi di navigazioni tra miriadi di isole, coralli e pericoli vari.

Comunque sia, paghiamo con un sorriso un pò tirato, considerati i quattro giorni di telefonate e maledizioni varie, carichiamo tutto, facciamo dogana (alle 22!), e andiamo a dormire, si fa per dire, con l’eccitazione e la stanchezza che ci troviamo addosso. Sveglia puntata alle 5:30 per riuscire ad arrivare all’ormeggio a fine traversata con la luce del giorno.
La mattina dopo siamo un pò stonati ma concentrati e determinati. Affrontiamo la ‘Boca’ più vicina, un breve, stretto tratto di mare tra Trinidad e la più vicina delle isolette che in fila indiana la separano dal Venezuela, e siamo subito fuori, in Atlantico. Un’alba piovigginosa, spettacolare, gorghi incredibili di corrente nera sotto la barca, nuvole, acqua e arcobaleni in cielo. Subito l’aliseo, teso, di traverso stretto, e l’onda lunga al mascone. Una navigazione non proprio comoda, a tratti bagnata, parecchio stancante. Barche incrociate molto poche, tutte pacifiche, di pirati neanche l’ombra. Non è che siano episodi tanto frequenti, ma dal Venezuela erano arrivate notizie non tanto buone e un minimo di apprensione comunque c’era..

Una lunga traversata, fiocco olimpico e due mani di terzaroli, sempre sugli 8 nodi di velocità media. Si timona a turno, e anche il pilota automatico fa la sua parte. Arrivati quasi a destinazione, un groppo di quelli giusti, pioggia e 40 nodi di raffica, tanto per accoglierci al meglio e invitarci in fretta al primo ancoraggio disponibile, a Prickly Bay. Siamo piuttosto distrutti e cotti dal vento e dal sole. Giuseppe (Niki) il marinaio felice al suo primo oceano, Paola, la meno “velica” dell’equipaggio, bruciata dal sole, ha comunque resistito benissimo, Carmelo, un pò appesantito dai kg e dai postumi di un piede rotto, ha fatto egregiamente la sua parte, tranquillo e perfettamente a sua agio. Il vostro capitano stanco ma finalmente felice di essere di nuovo in navigazione..

Doccia e cena, alle 8 siamo tutti a dormire, 10-11 ore di sonno basteranno, forse, a rimetterci in sesto..


 

 

Buon Anno da “Bulbo Matto”
Comunicazione del 10 Gennaio 2014

AUGURI a Bulbo Matto, al suo Capitano Fulvio e al marinaio Giuseppe!
E a tutti gli amici che saranno nostri ospiti della stagione 2014 e anche a quelli che ci seguiranno da casa!! Dopo la consegna della bandiera della traversata Atlantica ARC 2012 nelle mani del Presidente del Club Lauria Andrea Vitale, nostro sponsor, la barca è quasi pronta a Trinidad, l’equipaggio sta per raggiungerla e così i primi ospiti, Paola, Carmelo, Franco e Nina. Una prima navigazione abbastanza impegnativa, 85 miglia, fino a Grenada, e poi via via tutti i Caraibi, Piccole e Grandi Antille. Prima, rotta da sud a nord verso le British Virgin Islands, poi da est verso ovest, verso Cuba, infine nuovamente da nord verso sud, fino a Panama. Circa 2000 miglia, forse 100 e più isole, più di 20 ospiti già confermati col volo prenotato e tutto. Una vacanza-lavoro per me e per Giuseppe, intensa, affascinante, impegnativa. Tanti amici attesi e tanti altri da incontrare nelle baie, nei marina, sui sentieri, su per la foresta pluviale. Luoghi di natura rigogliosa, a terra come a mare, di genti semplici e accoglienti, di paesini tipici e colorati. Veleggiate calde, veloci, tramonti incantevoli, spiagge a volte turistiche a volte deserte, storia di colonizzazioni e di battaglie navali, fortezze e fattorie storiche. Un mondo da esplorare e conoscere. Tradizioni a noi sconosciute, tutte da cercare, da  assaporare. Arti e artigianato. L’eccitazione è grande e l’emozione incontenibile. Ve ne racconteremo strada, anzi rotta facendo, con foto e video. Ancora auguri e Buon Vento a tutti!

La stagione 2014 di Bulbo Matto è alle porte e l’atmosfera si scalda già!
I primi periodi (gennaio e aprile) sono già “sold out” e quindi sollecito chi fosse interessato a farsi avanti..

Rimangono tante altre magnifiche occasioni per godere di queste meravigliose isole (date e scali di imbarco/sbarco approssimativi):
– 29 gennaio Grenada – 10 febbraio St. Lucia, con eventuale partecip. alla Grenada Sailing Week;
– 11 febbraio St. Lucia – 22 febbraio Guadalupa, incluso Trekking a Dominica;
– 23 febbraio Guadalupa – 3 marzo St. Martin, con stop ad Antigua, Barbuda, Saba;
– 4 marzo St. Martin – 14 marzo BVI, con eventuale partecipazione alla Heineken Sailing Regatta;
– 15 marzo BVI – 26 marzo Santiago de Cuba, con stop a Portorico e Repubblica Dominicana.

Dal 27 aprile al 10 maggio e dall’11 al 25 maggio: costa meridionale di Cuba.
A giorni sul sito www.archeosailing.com un nuovo video della stagione 2013.

Spero di avervi a bordo!

 

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